Il ponte consolare

Il ponte romano che oggi si può ammirare entrando a Savignano è il frutto di numerosi rimaneggiamenti e restauri, l’ultimo dei quali è terminato nel 2005.

Nell’immaginario collettivo questo ponte viene identificato come quello attraversato nel 49 a.C. da Giulio Cesare, che pronunciò la celebre frase Alea iacta est, dichiarando così guerra a Roma. Le fonti storiche e la tecnica costruttiva del ponte però smentiscono la sua datazione all’età repubblicana. In un passo di Svetonio del “De vita Caesarum” 1, 31, infatti si legge: “Regredi possumus, quod si nunc ponticulum transierimus omnia arma agenda erunt”.

La descrizione cita un ponticulum, che non può certo corrispondere alla struttura savignanese, ma che è invece conforme con i ponti di età repubblicana, generalmente in legno, poi sostituiti dalla pietra a partire dall’età augustea.

Il ponte di Savignano, lungo metri 26,20 e largo metri 6,30, si articola su tre arcate che poggiano su due pile; era costruito in opus quadratum con blocchi di pietra bianca d’Aurisina di diverse dimensioni e legati tra loro da grappe metalliche. La platea di fondazione si estende per tutta la lunghezza del ponte e si allarga per 4 metri: è formata da lastroni di pietra squadrata, come ha documentato il saggio del 1937, effettuato dall’allora Soprintendente S.Aurigemma. I due piloni avevano nella parte a monte la forma di diedro acuto per infrangere l’onda dell’acqua, invece nella parte a valle erano a forma di parallelepipedo.

Tutta la struttura era realizzata in pietra d’Aurisina, così come la strada e i parapetti, questi ultimi erano impreziositi da marmo rosa di Verona.

Della fase di età romana non abbiamo una documentazione diretta perché il ponte subì nel corso dei secoli rimaneggiamenti, distruzioni e restauri continui.

La prima e più importante modifica avvenne nella seconda metà del 1300, quando Savignano venne fortificata con la costruzione del castello. La porta occidentale poggiava infatti sul ponte, così come le mura: si deviò il corso del fiume, cosa che provocò comunque una parziale distruzione del ponte con la necessità di un primo restauro.
Nel 1445 poi avvenne un fatto deplorevole secondo la tradizione: Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, portò via le pietre di Verona e d’Aurisina dei parapetti per realizzare il Tempio Malatestiano di Rimini.

All’inizio del 1600 ecco un secondo restauro: vennero coperti i piloni con laterizio, in modo da proteggere la pietra dalla corrente; sia a monte che a valle i piloni assunsero da allora la forma di diedro acuto. Vennero inoltre ricostruiti i parapetti in laterizio.

I danni maggiori furono arrecati al ponte nel 1944 quando i tedeschi in ritirata posero mine sulle pile e lo fecero saltare. Gli alleati americani così, costruirono il cosiddetto ponte Bayley, in ferro, impostato sulle pile antiche: doveva essere provvisorio invece rimase in opera per 20 anni finché negli anni ’60 non si provvide a ricostruire il ponte: si raccolsero su un piazzale tutti i conci rimasti che, una volta catalogati, venero utilizzati per la ricostruzione.

I pezzi mancanti vennero sostituiti da colate di cemento e al posto dei parapetti vennero realizzate ringhiere di ferro.

Nel 2005 si sono conclusi gli ultimi lavori di restauro durante i quali si è provveduto a riportare il ponte nelle condizioni prebelliche: i conci sono stati ripuliti e i parapetti sono stati ricostruiti in laterizio.

Nel giardino del museo sono conservati alcuni dei conci del ponte non utilizzati durante i lavori di restauro.

Don Giorgio Franchini